Ginecologia

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In questa sezione del sito, dedicata alla ginecologia, trovi esposti tutti gli argomenti principali relativi alla salute femminile: ciclo mestruale, contraccezione (pillola contraccettiva, IUD, anello vaginale, cerotto contraccettivo, contraccezione d’emergenza, ecc.), Pap-test e Colposcopia, HPV (Papilloma virus), malattie a trasmissione sessuale, fibromi uterini, endometriosi, sterilità, menopausa, ecc.

Il ciclo mestruale

L’organismo femminile, dalla pubertà fino alla menopausa, va incontro a delle modificazioni, necessarie per assicurare la fertilità, a carico dell’apparato genitale che si ripetono ciclicamente ogni mese.

Tali cambiamenti presentano diversi aspetti: ormonali, funzionali e strutturali.

Sotto il controllo dell’ipofisi, ogni mese le ovaie producono gli ormoni femminili (estrogeni e progesterone) e le cellule uovo (o ovociti), le quali rappresentano le cellule riproduttive femminili.

L’organismo femminile, dalla pubertà fino alla menopausa, va incontro a delle modificazioni, necessarie per assicurare la fertilità, a carico dell’apparato genitale che si ripetono ciclicamente ogni mese.

Tali cambiamenti presentano diversi aspetti: ormonali, funzionali e strutturali.

Sotto il controllo dell’ipofisi, ogni mese le ovaie producono gli ormoni femminili (estrogeni e progesterone) e le cellule uovo (o ovociti), le quali rappresentano le cellule riproduttive femminili.

Nella maggior parte delle donne la prima mestruazione (menarca) si verifica nell’età compresa tra i 10 e i 16 anni. 

 

Quando la prima mestruazione compare prima dei 10 anni si parla di pubertà precoce, mentre quando compare tra i 16 e i 18 anni si parla di ritardo puberale o menarca ritardato. 

La mancata comparsa della mestruazione oltre i 18 anni di età viene definita amenorrea primaria.

La menopausa, cioè la cessazione definitiva delle mestruazioni, si verifica mediamente intorno ai 50 anni. 

 

Quando le mestruazioni cessano prima dei 45 anni si parla di menopausa precoce, mentre quando cessano dopo i 55 anni si parla di menopausa tardiva.

Per durata del ciclo mestruale si intende l’intervallo di tempo che intercorre tra il primo giorno di una mestruazione e il primo giorno della mestruazione successiva. 

La durata del ciclo mestruale può essere variabile. Solitamente si considera normale una periodo cha va dai 25 ai 31 giorni, con una media di 28 giorni.

C’è chi considera con maggiore ampiezza i limiti della normalità, estendendoli in un periodo che va dai 21 ai 36 giorni.

Il ciclo viene suddiviso in due fasi:

  • prima fase (fase preovulatoria, o proliferativa, o follicolare, o estrogenica),
  • seconda fase (fase postovulatoria, o secretiva, o luteinica o progestinica).

L’ovulazione è l’evento che separa le due fasi.

La donna può soggettivamente riconoscere il momento dell’ovulazione in base ad alcuni segni: presenza di una tipica leucorrea dovuta all’aumento di produzione del muco cervicale in fase preovulatoria, episodio di dolore al basso ventre (di breve durata e a spontanea risoluzione) dovuto al verificarsi dell’ovulazione, aumento della temperatura basale (se misurata e registrata su apposita scheda) dovuto all’azione del progesterone subito dopo l’ovulazione. Tali segni, utili nel riconoscere il periodo fecondo, sono anche alla base dell’utilizzo dei cosiddetti metodi naturali di contraccezione.

In caso di cicli irregolari o cicli lunghi, mentre la durata della prima fase (preovulatoria) è variabile, la durata della seconda fase (postovulatoria o luteinica) solitamente ha una durata media di 12-16 giorni. Quando la fase postovulatoria o luteinica dura meno di 10-11 giorni, si parla di fase luteinica corta o insufficenza luteinica.

Quanto descritto finora riguarda le caratteristiche di normalità del ciclo mestruale.

Talora però possono verificarsi delle irregolarità del ciclo, le quali non sempre hanno un significato patologico, ma spesso possono essere il risultato di alterazioni dell’equilibrio ormonale. In altri casi possono essere causate o favorite da alcune patologie a carico dell’apparato genitale (come ad esempio può succedere in caso di flussi mestruali eccessivamente abbondanti in una donna affetta da fibromatosi uterina).

La descrizione delle irregolarità mestruali comporta necessariamente il dover passare in rassegna un po’ di terminologia.

  • Amenorrea

Completa assenza delle mestruazioni per almeno 3 mesi. Nella vita della donna è fisiologica l’assenza delle mestruazioni nei seguenti periodi: infanzia, gravidanza e allattamento, menopausa.

  • Amenorrea primitiva o primaria

Quando non vi è ancora stata la prima mestruazione al raggiungimento dei 17 anni di età.

  • Amenorrea secondaria

Scomparsa delle mestruazioni per un periodo superiore ai tre mesi, dopo un periodo di mestruazioni più o meno regolari. 

 

Ciò può dipendere da vari problemi: ormonali, psicogeni, patologie genitali o generali (extragenitali), eccessivo dimagrimento (anoressia).

 

  • Polimenorrea

Quando le mestruazioni sonno eccessivamente ravvicinate, si verificano cioè con intervallo di tempo inferiore ai 25 giorni (cicli brevi, con flussi ravvicinati).

Ciò può comportare, in particolar modo in caso di flussi abbondanti, una condizione di anemia conseguente all’eccessiva perdita di sangue.

 

  • Oligomenorrea

Quando le mestruazioni si verificano a intervalli di tempo superiori ai 36 giorni (cicli lunghi, con flussi distanziati).

  • Ipomenorrea

Termine usato per definire flussi mestruali più scarsi della norma, di quantità inferiore a 20 ml.

 

Solitamente si ritiene che la quantità di sangue perso in una mestruazione normale sia intorno ai 35 ml, anche se ovviamente nella pratica quotidiana risulta difficile da valutare con precisione.



  • Ipermenorrea

Termine usato per indicare flussi mestruali abbondanti, di quantità superiore a 80 ml.

  • Menorragia

Perdita di sangue mestruale eccessivamente abbondante, a carattere emorragico, per una durata più lunga rispetto alla mestruazione regolare.

  • Metrorragia

Perdita di sangue di variabile entità (abbondante o scarsa) che si verifica in maniera indipendente dal periodo mestruale, oppure in un periodo in cui non dovrebbero esservi mestruazioni (gravidanza, postmenopausa o prima della pubertà).

  • Menometrorragia

Perdita di sangue iniziata con la mestruazione e persistente per più giorni anche dopo il periodo mestruale, solitamente abbondante.

  • Dismenorrea

Mestruazione particolarmente dolorosa.

  • Dismenorrea primaria o essenziale

Non sono riconoscibili eventuali patologie a cui attribuirne la causa.

  • Dismenorrea secondaria

Mestruazioni dolorose che compaiono successivamente, cioè in donne che in precedenza non avevano mestruazioni dolorose. Spesso sono presenti situazioni infiammatorie o l’endometriosi.

Spesso alcune di queste irregolarità del ciclo possono essere associate tra di loro. Ad esempio è possibile avere flussi mestruali abbondanti e ravvicinati; in tal caso si parla di iper-polimenorrea. Tale situazione, qualunque sia la causa, è comunque da non sottovalutare, in quanto comporta nel tempo una perdita eccessiva di sangue con conseguente anemia.

In presenza di alterazioni del ciclo mestruale o di mestruazioni particolarmente dolorose è bene eseguire degli accertamenti ginecologici utili a ricercare le possibili cause (ad esempio: problemi ormonali, endometriosi, fibromatosi, ecc.) o a correggere gli effetti (ad esempio: dolore, anemia, infertilità, ecc.) delle irregolarità mestruali.

Dal punto di vista diagnostico sono importanti:

  • anamnesi: caratteristiche dei cicli, dolore, gravidanze, altre patologie, ecc.;
  • visita generale: peso corporeo, caratteri sessuali secondari, pressione arteriosa, ecc.;
  • esami di laboratorio: ormonali (funzionalità ipofisaria, ovarica, tiroidea, ecc.) e generali (emocromo, coagulazione, funzionalità epatica e renale, ecc.);
  • visita ginecologica: morfologia degli organi dell’apparato genitale, ricerca di possibili patologie causa di sanguinamento anomalo (esempio: fibromatosi uterina, polipo cervicale, patologie del collo dell’utero, ecc.);
  • ecografia: per valutazione della morfologia dell’apparato genitale e in particolare dell’aspetto dell’endometrio (ben valutabile con ecografia transvaginale);
  • isteroscopia: nei casi in cui si ritiene necessaria, l’isteroscopia risulta preziosa nella valutazione della cavità uterina e dell’endometrio, potendo per quest’ultimo fornire la possibilità di eseguire un prelievo bioptico.

La menopausa

Con il termine di menopausa ci si riferisce a quella fase della vita della donna in cui cessa la capacità riproduttiva.

Essa dipende dall’esaurimento della attività delle ovaie, sia per quello che riguarda la produzione di ormoni, sia per quanto riguarda la produzione di cellule riproduttive, ovvero gli ovociti (o cellule uovo).

Da ciò dipendono diversi eventi.

Il più evidente di questi è la cessazione definitiva delle mestruazione, a cui generalmente si giunge passando per un graduale periodo di progressive alterazioni del ciclo, che può avere tempi e manifestazioni molto variabili da una donna all’altra.

Oltre alla scomparsa della mestruazioni, la cessata produzione ormonale può comportare vari sintomi e problemi, anch’essi di variabile intensità da una donna all’altra.

  • Età media: 50 anni;
  • menopausa precoce: prima dei 45 anni;

menopausa tardiva: dopo i 55 anni.


  • CLIMATERIO

Fase di transizione tra il periodo della capacità riproduttiva e il periodo dell’incapacità riproduttiva (per esaurimento dell’attività ovarica).

  • PERI – MENOPAUSA

Insieme di PREMENOPAUSA e di POSTMENOPAUSA (coincide con il climaterio).

  • PRE – MENOPAUSA

Fase che precede la menopausa, caratterizzata da irregolarità mestruali, espressione dell’iniziale deficit di attività ovarica.

  • POST – MENOPAUSA

Fase che segue la menopausa, e conclude il climaterio.

Alcune donne non hanno alcun sintomo durante il periodo menopausale o hanno sintomi lievi. Altre donne invece manifestano sintomi anche molto intensi. I sintomi menopausali sono dovuti essenzialmente al progressivo calo di produzione ormonale da parte delle ovaie.

Anche le differenze nello stile di vita, dieta, attività fisica e lavorativa possono avere un ruolo nel modo di presentarsi dei vari sintomi.

I sintomi possono comparire già diversi mesi prima dell’ultima mestruazione e possono persistere per alcuni anni dopo.

  • Irregolarità mestruali

Una donna può avere cicli irregolari per parecchi mesi o anni prima della cessazione definitva delle mestruazioni. Ciò è in relazione al progressivo venir meno della efficienza delle ovaie nella produzione ormonale.

Un abbondante e prolungato sanguinamento nel corso della perimenopausa dovrebbe essere sempre valutato da un medico.



Qualsiasi sanguinamento vaginale che si sviluppa dopo un anno di assenza di cicli deve essere oggetto di valutazione medica, in quanto potrebbe non avere un significato mestruale, ma essere sintomo di qualche altra patologia.



  • Le vampate di calore

Vengono descritte come sensazioni di calore, solitamente improvvise, della durata da pochi secondi a qualche minuto. Si accompagnano solitamente a fastidioso arrossamento soprattutto del viso e del collo, e si accompagnano spesso a profusa sudorazione.



Tali sintomi sono causati da cambiamenti nel modo in cui i vasi sanguigni si rilassano e si contraggono, e sono correlate alla diminuzione di produzione ormonale da parte delle ovaie.



  • Disturbi del sonno e sintomi psicogeni

Spesso il sonno notturno è disturbato da fastidiose vampate di calore.

Una prolungata perdita della regolarità del sonno può portare a cambiamenti del tono dell’umore e quindi anche ad una più facile irritabilità.



Peraltro anche problemi di tipo psicologico possono portare ad alterazioni dell’equilibrio psico-emotivo, con ansia, irritabilità, insonnia.



 

  • Problemi cardiovascolari

Prima della menopausa, le donne hanno una incidenza più bassa di infarto e ictus rispetto agli uomini. Dopo la menopausa, tuttavia, il rischio di malattie cardiache nelle donne continua a crescere e diventa pari a quello degli uomini dopo i 65 anni.

  • Problemi osteo-articolari

In menopausa, a causa della mancata produzione di ormoni, si può verificare un aumento della fragilità delle ossa con conseguente maggior rischio di frattura. Tale condizione va sotto il nome di osteoporosi.

  • Osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia caratterizzata da una maggiore fragilità delle ossa con conseguente aumento del rischio di fratture. L’osteoporosi può instaurarsi lentamente, in assenza di sintomi, e rendersi manifesta al verificarsi della prima frattura. Le sedi di frattura da osteoporosi più frequenti sono la colonna vertebrale, il femore e il polso.



Sono esposte all’osteoporosi soprattutto le donne in menopausa, a causa della cessata produzione di ormoni estrogeni da parte delle ovaie. Un significativo degrado della qualità ossea può già verificarsi nei primissimi anni dopo la menopausa. Ciò è tanto più importante in caso di menopausa precoce, cioè in età inferiore a 45 anni. 



L’osteoporosi può essere favorita da diversi fattori di rischio (magrezza, fumo, abuso di alcool, ridotta attività fisica, scarsa assunzione di calcio con l’alimentazione, ecc…). Le cure per l’osteoporosi non conducono alla guarigione, ma servono a preservare il normale stato delle ossa o frenarne il degrado. Perché ciò sia possibile sono quindi importanti la prevenzione e la diagnosi precoce per frenare un possibile decadimento osseo.



Osteoporosi: screening

La valutazione della qualità dell’osso può essere effettuata misurando la densità ossea. Ciò può essre attuato con varie metodiche denominate Mineralometria Ossea Computerizzata (M.O.C.) o Densitometria Ossea.



Tale valutazione si può fare con diverse tecniche. Esiste una densitometria eseguita mediante raggi X (chiamata anche DEXA) e più recentemente esiste la possibilità di eseguire la densitometria mediante ultrasuoni. La Densitometria ossea a ultrasuoni, a differenza di altre metodiche, permette di valutare anche la qualità dell’osso (le altre tecniche misurano solo la quantità) e presenta il vantaggio di non utilizzare radiazioni, e quindi non comporta nessun rischio per il paziente.



Gli ultrasuoni sono delle onde sonore, del tutto innocue, già impiegate in altri settori della Medicina (ad esem-pio in gravidanza). Con la mineralometria ossea a ultrasuoni si misura la velocità con cui un fascio di ultrasuoni attraversa l’osso. La sede di misurazione è il calcagno (tallone), in quanto si tratta di un osso con struttura analoga a quella delle vertebre, e che, come le vertebre, viene colpito per primo da un eventuale processo osteoporotico. Con tale esame si valuta se la densità ossea è normale, oppure se è lievemente ridotta (osteopenia), oppure se è francamente ridotta (osteoporosi). Tali informazioni sono fondamentali per impostare una terapia efficace (farmaci, alimentazione, stile di vita).



La densitometria a ultrasuoni, considerata l’assoluta innocuità (assenza di radiazioni), la semplicità di esecuzione e il basso costo, può essere raccomandata come indagine di screening di primo livello.

 

  • Sintomi genitali e urinari

A causa della cessata produzione ormonale da parte delle ovaie, in menopausa la superficie della vagina diventa atrofica, cioè diventa gradualmente più sottile e meno elastica. Questi cambiamenti possono causare disturbi in occasione dell’attività sessuale, con conseguenti rapporti sessuali dolorosi.



L’assenza di ormoni può talora comportare una condizione di infiammazione nella vagina conosciuta come vaginite atrofica. In tali condizioni la donna può avere più probabilità di sviluppare infezioni vaginali.



Analoga condizione di atrofia può verificarsi a livello delle vie urinarie, con conseguenti disturbi della minzione (disuria, pollachiuria) e talora incontinenza urinaria.

 

  • Manifestazioni cutanee

In postmenopausa la mancata produzione ormonale favorisce anche l’assottigliamento della cute e un certo grado di minore elasticità della pelle.

 

 

La terapia per la menopausa

La Terapia Ormonale Sostitutiva ha lo scopo di sostituire gli ormoni(estrogeni e progesterone) che in menopausa non sono più prodotti dalle ovaie, con l’obiettivo di correggere quei problemi causati dalla carenza ormonale.

  •  
  • Avvio della terapia

La terapia dovrebbe essere iniziata al declino della funzione ovarica; molti effetti della carenza estrogenica sono più rapidi nei primi anni di postmenopausa.

  • Durata della terapia

L’obiettivo della terapia è la prevenzione di patologie che intervengono nell’età postmenopausale.

Si ritiene che una durata utile di terapia sia di alcuni anni, ma non oltre i 5 anni.

 

 

  • Schemi di terapia

Sequenziale (estrogeno + progesterone)

  • ciclica (cioè con assunzione a cicli mensili, con eventuale comparsa di flusso similmestruale),
  • continua (cioè assunzione continuativa del farmaco, quindi senza comparsa di flusso similmestruale).

Solo estrogeno (nelle donne senza utero per pregressa isterectomia).

 

  • Vie di somministrazione
  • Via transdermica (cerotto – gel);
  • via orale:
  • via vaginale.

 

    • Controindicazioni assolute
  • Severe malattie epatiche in atto;
  • trombosi o embolia in atto;
  • adenocarcinoma dell’endometrio;
  • carcinoma endometrioide dell’ovaio;
  • carcinoma della mammella.

 

  • Controindicazioni relative
  • Calcolosi della colecisti:in questo caso è indicata la via transdermica;
  • ipertrigliceridemia: indicata la via transdermica;
  • fibromi uterini: in presenza di fibromi è da consigliare una terapia con estrogeni a basse dosi.

 

 

  • Controlli medici
  • Controllo ginecologico e internistico;
  • esami di laboratorio;
  • esame del seno e mammografia;
  • ecografia pelvica (per valutazione della morfologia utero-ovarica ed in particolare dello spessore endometriale);
  • densitometria ossea (M.O.C. o Mineralometria Ossea Computerizzata) per valutare il grado di mineralizzazione ossea e quindi diagnosticare precocemente un’eventuale osteoporosi.

Va ricordato che nella donna in menopausa questi controlli sono comunque consigliati, indipendentemente dalla terapia.

 

  • Benefici

Terapia Ormonale Sostitutiva comporta i seguenti benefici:

  • riduce nettamente i disturbi climaterici;
  • migliora il trofismo e l’elasticità della pelle;
  • riduce il rischio cardiovascolare (cardiopatia ischemica);
  • previene l’osteoporosi, riducendo il rischio di fratture;
  • migliora il trofismo dell’apparato genito-urinario.

Malattie a trasmissione sessuale

Con il termine malattie a trasmissione sessuale parliamo di malattie infettive che possono riguardare anche l’intero organismo, maschile o femminile, che possono essere trasmesse in occasione dell’attività sessuale. Ovviamente, perchè ciò sia possibile, è necessario che uno dei due componenti sia affetto dalla malattia e che quindi possa trasmetterla al partner.

    • Sintomi
  • Arrossamento dei genitali;
  • ulcerazioni dei genitali;
  • prurito genitale;
  • secrezioni dai genitali;
  • disturbi della minzione;
  • dolore nel rapporto sessuale;
  • spesso sintomi assenti o tardivi.

 

  • Cause
  • Batteri: sifilide, gonorrea, clamidia;
  • funghi: micosi (candida);
  • virus: Herpes, HPV (condilomi), HIV (AIDS), virus dell’epatite (B – C).

 

  • Situazioni a rischio di contagio
  • Avere più partner sessuali;
  • avere un partner che ha avuto più partner;
  • rapporti sessuali occasionali con persone poco conosciute;
  • rapporti sessuali anali o oro-genitali.

 

  • Conseguenze

Le conseguenze delle M.S.T. sono variabili secondo la gravità della malattia, la tempestività della diagnosi e l’efficacia della terapia.

Le conseguenze delle M.S.T. possono essere quindi:

  • guarigione;
  • malattia infiammatoria pelvica;
  • dolore pelvico cronico: per esiti di infiammazione;
  • sterilità: per danneggiamento dell’apparato riproduttivo;
  • tumori (HPV, HIV): conseguenza di trasformazione cellulare;
  • morte (AIDS): per compromissione del sistema immunitario.

 

  • Come evitarle
  • Avere rapporti sessuali con un partner sano;
  • usare il preservativo, soprattutto in rapporti occasionali;
  • avere cura dell’igiene personale.

 

  • Cosa fare?
  • Sospendere l’attività sessuale;
  • informare il partner;
  • consultare un medico;
  • non fare autoterapia (usando farmaci a caso).

La sifilide è una malattia grave che si trasmette con l’attività sessuale. Essa è dovuta all’azione del Treponema Pallido detto anche Spirocheta Pallida.

Qualche settimana dopo il contagio compare una ulcerazione, detta “sifiloma” solitamente a livello genitale (ma anche a livello orale) che scompare dopo qualche tempo. Dopo questa prima fase, detta “sifilide primaria” se non interviene una opportuna cura antibiotica, la malattia entra nella seconda fase, detta “sifilide secondaria”. 

Questa compare entro 2-6 mesi dall’infezione primaria, ed è caratterizzata dalla comparsa di una eruzione cutanea diffusa, mal di testa, febbre e dolori muscolari. Se non viene attuata una adeguata terapia antibiotica, si assiste all’evoluzione verso la “sifilide terziaria”, caratterizzata dalla produzione delle cosiddette “gomme luetiche” che possono danneggiare il cervello, portando alla demenza, e anche altri organi (fegato, ossa, ecc.). L’evoluzione della malattia, se non adeguatamente e tempestivamente curata, può portare alla morte.

Se la sifilide viene contratta in gravidanza, in assenza di una adeguata terapia, può comportare l’aborto o la morte del feto, oppure un parto prematuro, oppure la nascita di un feto con manifestazioni particolari che vanno sotto il nome di “fetopatia luetica”.

La gonorrea è un’infezione batterica dovuta al Gonococco, il quale si trasmette per via sessuale, e può insediarsi a livello genitale, come anche a livello anale, nella bocca e nella gola. Oltre che per via sessuale, il contagio può talora verificarsi anche in maniera indiretta, ad esempio attraverso la biancheria infetta.

Nell’uomo il gonococco si localizza abitualmente a livello dell’uretra, causando la cosiddetta uretrite gonococcica. Questa si manifesta con i seguenti sintomi: prurito, bruciore, arrossamento del meato urinario e secrezioni prima sierose, poi mucopurulente. Se non adeguatamente curata, la gonorrea può portare alla sterilità per danneggiamento dell’apparato riproduttivo.

Nella donna spesso la gonorrea può non comportare sintomi evidenti.Talora possono manifestarsi perdite vaginali, dolore e bruciore nell’urinare, oppure possono essere presenti sintomi a livello anale o del cavo orale. L’infezione può risalire dal collo dell’utero fino alle tube, causando così una salpingite, talora con peritonite (malattia infiammatoria pelvica o PID: pelvic inflammatory disease). Tale patologia può portare a sterilità femminile.

L’Herpes genitale è una malattia infettiva dovuta all’Herpes virus. Essa è caratterizzata dalla formazione di piccole vescicole intensamente dolorose a livello dei genitali (vulva, vagina e collo dell’utero) o in vicinanza ad essi (perineo). Tali vescicole possono rompersi dando luogo a delle piccole ulcerazioni. Da queste lesioni il virus può trasmettersi per contatto e quindi con l’attività sessuale. I sintomi dell’herpes genitale consistono in dolore e bruciore spesso molto intensi. 

Dopo la risoluzione dell’episodio acuto, il virus tende a persistere nell’organismo, anche a guarigione avvenuta e quindi in assenza di sintomi. Successivamente, anche a distanza di tempo, in occasione di episodi di stress psicofisico, di debilitazione per altre malattie o di deficit delle difese immunitarie, possono verificarsi nuovi episodi di malattia. I soggetti immunodepressi hanno una particolare predisposizione ad esserne colpiti. Attualmente non sono disponibili farmaci che portino alla guarigione assoluta e definitiva, ma vi sono farmaci che riducono i sintomi e la frequenza delle recidive.

Se l’Herpes viene contratto dalla donna in gravidanza, può mettere in pericolo il feto e, se al momento del parto sono presenti delle lesioni erpetiche a livello genitale, il neonato può riportare gravi danni, anche mortali. Pertanto in presenza di lesioni erpetiche genitali in una donna a termine di gravidanza, è indicato l’espletamento del parto mediante taglio cesareo.

La candidosi è un’infezione genitale molto diffusa. Essa è dovuta a un fungo denominato Candida albicans, il quale è abitualmente presente a livello vaginale anche in condizioni di benessere. Va ricordato infatti che l’ambiente vaginale non è sterile, ma è normalmente abitato da vari microorganismi che normalmente sono in equilibrio tra di loro e che non danno sintomi. Quando l’equilibrio microbiologico si altera (per l’uso di antibiotici, per stress, per una condizione di diabete, per gravidanza) si può instaurare l’infezione.

La vaginite da Candida è caratterizzata da perdite biancastre dense, come piccoli “grumi di ricotta”, da prurito vulvovaginale intenso, con arrossamento di vulva e vagina e dolore nei rapporti sessuali. Il maschio, se contagiato, lamenta prurito al glande.

La candidosi, solitamente curabile con antimicotici (a livello locale o generale), in alcune persone può facilmente persistere o recidivare.

La chlamydia è una delle più frequenti infezioni genitali. L’infezione da Chlamydia si diffonde con i rapporti sessuali. Spesso l’infezione non comporta sintomi; talora causa prurito, bruciori alla minzione e perdite vaginali. La chlamydia dalla vagina può diffondersi al collo dell’utero e poi alle tube, alle ovaie e all’apparato urinario. In conseguenza di tale estensione può causare dolori pelvici, renali e portare anche alla sterilità. 

Tale infezione può interessare anche l’uomo, spesso senza sintomi e, e se non curata con adeguata terapia antibiotica, può portare, come nella donna, alla sterilità.

La vaginosi batterica è l’infezione vaginale più frequente, ed è causata dalla Gardnerella vaginalis. Tale infezione viene trasmessa prevalentemente con l’attività sessuale, ma può essere trasmessa anche tramite indumenti intimi, asciugamani o servizi igienici inquinati. 

In molti casi l’infezione da Gardnerella vaginalis non comporta sintomi; in tal caso viene casualmente segnalata da un tampone vaginale o da un Pap-test. Spesso causa perdite vaginali abbondanti, grigie, con cattivo odore (paragonabile all’odore di pesce avariato). 

La terapia si basa sull’uso di antibiotici a uso locale e generale (Metronidazolo e Clindamicina) e deve essere praticata da entrambi i componenti della coppia.

La Trichomoniasi è un’infezione vaginale causata da un protozoo detto Trichomonas vaginalis. I sintomi da essa causati consistono soprattutto nella presenza di perdite vaginali fluide, talora con aspetto schiumoso, di colore giallo-verdastre; possono essere inoltre presenti bruciore e dolore nei rapporti sessuali, oltre ad un arrossamento della vulva e delle pareti vaginali. Se non adeguatamente curata, una infezione da Trichomonas può estendersi all’utero e alle tube, causando un’infezione pelvica talora grave.

La trichomoniasi va curata con antibiotici a livello locale e generale, e la terapia deve interessare anche il partner.

 

I condilomi sono causati dal virus del Papilloma o HPV (Human Papilloma Virus). Essi rappresentano una delle più frequenti infezioni a livello genitale, sia maschile che femminile. Possono essere localizzati in varie sedi: collo dell’utero, vagina, vulva, perineo, periano, pene.

Spesso per la diagnosi si richiede colposcopia, vulvoscopia ed eventuale biopsia.

Per ulteriori spiegazioni su condilomi e HPV consulta su questo sito le pagine dedicate a HPV, PAP TEST  e COLPOSCOPIA

L’epatite virale tipo B e C sono delle malattie infettive trasmissibile con il sangue (o emoderivati) e con l’attività sessuale, a causa della presenza del virus nel sangue e nelle secrezioni genitali. 

Tali malattie possono dare danni al fegato e spesso portano alla condizione di portatore cronico. La possibilità di trasmettere l’infezione dipende dalla condizione sierologica (presenza nel sangue dei soli anticorpi contro il virus o anche dell’antigene virale) della persona affetta. Altrettanto si può dire riguardo alla trasmissione perinatale dell’infezione dalla madre al bambino.

Per l’epatite B esiste la possibilità di prevenzione mediante la vaccinazione.

L’AIDS (Sindrome da immunodeficienza acquisita) è la più grave delle infezioni a trasmissione sessuale, portando a morte la persona malata. Essa è causata dall’HIV (Human Immunodeficiency Virus). Tale virus va a colpire il sistema immunitario, rendendolo incapace di assolvere alle sue funzioni di difesa nei confronti delle infezioni e di alcune forme di tumori. 

In conseguenza di ciò la persona affetta da AIDS muore a causa delle ripetute infezioni di vario genere cui va incontro, e per il possibile verificarsi di forme tumorali che, favorite dall’inefficienza del sistema immunitario, più facilmente possono svilupparsi.

Il virus HIV è presente soprattutto nel sangue e nelle secrezioni genitali. Pertanto il virus può diffondersi mediante contatto con il sangue infetto (in presenza di piccole lesioni di cute e mucose) o per trasfusione di sangue infetto. La trasmissione sessuale si verifica in seguito a rapporti sessuali con persone infette. Una donna infettata dall’HIV può trasmettere il virus al fetto per passaggio transplaventare durante la gravidanza, o per contagio al momento del parto.L’AIDS colpisce molto spesso i tossicodipendenti, e ciò per vari motivi. In questi soggetti la trasmissione del virus avviene attraverso il sangue in seguito all’uso in comune di siringhe usate per iniettarsi la droga. Inoltra la droga stessa contribuisce ad indebolire il sistema immunitario. Infine spesso si verifica per i tossicodipendenti la trasmissione per via sessuale, a causa della promiscuità sessuale derivante spesso dalla necessità di prostituirsi per potersi procurare la droga.

L’infezione può essere accertata mediante un test che ricerca la presenza degli anticorpi anti HIV nel sangue. Tali anticorpi compaiono alcune settimane o mesi dopo il contagio. La presenza di questi anticorpi però, a differenza di quanto succede per altre malattie infettive, non documenta l’immunità o protezione nei confronti del virus (data la compromissione del sistema immunitario), ma attesta semplicemente l’avvenuto contagio. Tale situazione va sotto il nome di Sieropositività. La persona sieropositiva, pur non avendo sintomi (clinicamente sana), ha il virus nel suo sangue, e pertanto può trasmettere l’infezione.

Dopo un periodo di tempo più o meno lungo (anche vari anni), la condizione di sieropositività può evolvere nell’AIDS conclamata. Tale situazione è caratterizzata da uno scadimento delle condizioni generali, con indebolimento, febbre, inappetenza, perdita di peso, infezioni ripetute di vario genere. Nella quasi totalità dei casi la malattia porta a morte in alcuni anni.

Non esistendo ancora oggi al possibilità di una terapia realmente efficace nel guarire la malattia, è fondamentale la prevenzione, che si attua seguendo queste norme:

  • evitare l’uso di droghe;
  • evitare l’uso di siringhe in comune;
  • in caso di sieropositività, informare il partner sessuale;
  • evitare il contatto diretto con il sangue (ferite sanguinanti) usando i guanti;
  • in caso di trasfusioni usare sangue controllato;
  • evitare rapporti sessuali occasionali, con partner poco conosciuti (nel dubbio usare il profilattico).

Va ricordato che vanno considerati rapporti sessuali a rischio anche quelli con un partner stabile che però ha avuto rapporti a rischio.

 

Endometriosi

L’endometrio è il tessuto di rivestimento della cavità dell’utero. Esso va incontro mensilmente, per effetto degli ormoni prodotti dall’ovaio, a delle modificazioni nella sua struttura e accrescimento, che terminano ogni mese con lo sfaldamento che si verifica in occasione del sanguinamento mestruale.

L’endometriosi consiste nella presenza di endometrio al di fuori dell’utero, in sedi anomale. Più frequentemente si può trovare sulle ovaie, in prossimità delle tube, dei legamenti dell’utero e sul tessuto di rivestimento dalla cavità peritoneale.

Talora l’endometriosi si può trovare sull’apparato urinario e sull’intestino. Più raramente si possono trovare impianti in altre sedi lontane dalla cavità peritoneale, per esempio nei polmoni.

Ogni mese, sotto l’effetto ormonale del ciclo mestruale, il tessuto endometriale impiantato in sede anomala (cioè il tessuto endometriosico) va incontro ad un sanguinamento, similmente a quanto si verifica a carico dell’endometrio normalmente presente nell’utero.

Tale sanguinamento comporta un’irritazione dei tessuti circostanti, con conseguente formazione di tessuto cicatriziale.

Diverse teorie sono state proposte per spiegare la causa dell’endometriosi, ma nessuna di esse può spiegare tutti i casi.

Una prima teoria è quella della mestruazione retrograda: secondo questa teoria, durante la mestruazione, del tessuto endometriale migra in senso inverso nelle tube e si impianta nell’addome. Secondo alcuni esperti la migrazione retrograda è presente in tutte le donne, ma solo nelle donne afflitte da endometriosi un difetto immunitario e/o ormonale permette al tessuto di radicarsi e crescere.

Un’altra teoria propone che il tessuto endometriale si distribuisca dall’utero ad altre aree del corpo per mezzo del sistema linfatico o sanguigno.

Una teoria genetica suggerisce che la malattia possa essere trasmessa in alcune famiglie attraverso il genoma o che alcune famiglie possano avere fattori predisponenti all’endometriosi.

Un’altra teoria propone che tessuto residuo dal periodo embrionale possa successivamente trasformarsi in tessuto endometriosico o che alcuni tessuti dell’adulto mantengano la capacità che avevano durante la vita embrionale di trasformarsi in tessuto riproduttivo in alcune circostanze.

Vi è poi la teoria chirurgica, secondo la quale durante un intervento chirurgico sull’utero è possibile favorire il trasporto di cellule endometriali con conseguente impianto endometriosico in corrispondenza di cicatrici addominali post-chirurgiche. Tuttavia questi impianti sono stati osservati anche in cicatrici dove il cosiddetto trapianto chirurgico sembrava improbabile.

I sintomi dell’endometriosi possono essere molto variabili. Talora vi sono donne con endometriosi molto sviluppata ma con sintomatologia modesta, mentre è anche possibile il contrario; è cioè possibile che donne con endometriosi lieve soffrano disturbi anche intensi. L’intensità del dolore non è in rapporto all’estensione o alla dimensione delle lesioni: anche le piccole formazioni (focolai endometriosici) possono causare molto dolore.

I sintomi riscontrati più frequentemente sono:

  • dismenorrea (dolore prima e durante le mestruazioni);
  • dispareunia (dolore durante o dopo i rapporti sessuali);
  • dolore pelvico cronico.

Possono anche essere presenti (in rapporto alla localizzazione dell’endometriosi):

  • dolore o senso di peso nel retto;
  • diarrea e/o stitichezza;
  • defecazione dolorosa;
  • minzione dolorosa;
  • affaticamento cronico;
  • dolore nella regione lombare o lungo un arto inferiore.

L’infertilità colpisce il 30-40% circa delle donne con endometriosi. Ciò dipende spesso dal danneggiamento del tessuto ovarico per effetto dell’endometriosi, oppure da processi aderenziali a livello pelvico, che fanno si che i rapporti tra tube e ovaie siano alterati, o anche da altri fattori biochimici e/o immunitari.

L’endometriosi può cominciare a essere sospettata con il colloquio medico-paziente: va sospettata se vi è una storia di dolore mestruale, con dolore in occasione dei rapporti sessuali, o in presenza di dolore pelvico cronico.

La visita ginecologica può evidenziare altri segni: dolore a livello pelvico, o presenza di cisti o noduli a carico degli organi genitali.

L’ecografia e la TAC (quando necessaria) potranno dare informazioni riguardo alle tumefazioni pelviche apprezzate con la visita, o chiarire eventuali dubbi nei confronti di altre patologie.

Un aumento del livello di CA125 nel sangue può far sospettare l’endometriosi, ma non sempre.

Quasi sempre la diagnosi di certezza viene fatta con la laparoscopia, che può consentire una visualizzazione diretta degli organi pelvici (utero, tube e ovaie). 

Con la laparoscopia è inoltre possibile rimuovere chirurgicamente le lesioni endometriosiche (che verranno confermate come tali dall’esame istologico) e, per quanto possibile, porre rimedio alla situazione aderenziale dovuta all’endometriosi stessa.

La scelta del tipo di terapia da praticare deve basarsi su diversi fattori:

  • le dimensioni, la localizzazione e l’estensione delle lesioni endometriosiche;
  • l’entità della sintomatologia;
  • l’età della paziente;
  • eventuale desiderio di gravidanza;
  • eventuale infertilità associata.

In alcuni casi di endometriosi lieve, con scarsa sintomatologia, si può tenere una condotta di attesa, senza instaurare alcuna terapia, limitandosi ad eseguire dei regolari controlli periodici. Il dolore, se presente, può essere attenuato con l’uso di antidolorifici.

In altri casi si può far ricorso a varie scelte terapeutiche, la cui adeguatezza va valutata in ogni singola paziente.

Un concetto importante da tener presente è che, non essendo nota con certezza la causa dell’endometriosi, qualunque terapia noi pratichiamo non ci può dare la certezza di risolvere in maniera definitiva la malattia, ma può essere utile a ridurre la sintomatologia o a favorire la fertilità. 

Pertanto spesso dopo la sospensione di una terapia medica, oppure qualche tempo dopo un intervento chirurgico, si può assistere alla ricomparsa della sintomatologia.

  • Terapia medica

Lo scopo della terapie mediche è di ridurre il livello di estrogeni in modo da porre un freno allo sviluppo dell’endometriosi.

A questo scopo si fa ricorso all’uso di estroprogestinici combinati (ad esempio la pillola contraccettiva), del solo progesterone, del danazolo (derivato del testosterone) o di analoghi del GnRH (Gonadotropin releasing hormone).

  • La pillola anticoncezionale

La pillola anticoncezionale può essere una delle possibili scelte terapeutiche dell’endometriosi.

La pillola, usata per un periodo prolungato di tempo (circa 6 mesi), senza il periodico intervallo che viene fatto durante l’utilizzo a scopo contraccettivo, agisce bloccando l’ovulazione e inducendo una pseudogravidanza (situazione di assenza di cicli, e quindi paragonabile a una gravidanza); ciò comporta un’atrofia (e quindi una regressione) delle lesioni endometriosiche. 

Spesso l’utilizzo della pillola può essere sufficiente a frenare la sintomatologia.

  • Progestinici

Anche i progestinici agiscono bloccando l’ovulazione e riducendo l’azione di stimolo degli estrogeni sulle lesioni endometriosiche. In conseguenza di ciò comportano una attenuazione della sintomatologia. 

Come effetto collaterale possono presentarsi delle perdite ematiche. Altri effetti collaterali possono essere: nausea, cambiamenti di umore, cefalea, tensione al seno, secchezza vaginale, acne, ritenzione idrica, aumento di peso.

  • Danazolo

Il danazolo è un derivato del testosterone. Anch’esso dal punto di vista ormonale induce uno stato di pseudomenopausa, con blocco dell’ovulazione e assenza delle mestruazioni. La terapia con danazolo comporta spesso la scomparsa dei sintomi, ma in molti casi la sintomatologia dolorosa ricompare entro un anno circa dalla sospensione della terapia.

Spesso possono verificarsi effetti collaterali piuttosto fastidiosi, soprattutto con dosaggi alti: pelle grassa, acne, alterazione del tono di voce, cefalea, aumento di peso, ipertricosi (aumento dei peli), vampate di calore, sudorazione notturna, depressione, diminuzione del desiderio sessuale. Un fatto da non sottovalutare è che il Danazolo non impedisce l’ovulazione; pertanto, essendo controindicato in gravidanza, durante il periodo di terapia si raccomanda di usare cautela contraccettiva (ad esempio con l’utilizzo del profilattico).

 

  • Analoghi del GnRH

Gli analoghi del GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone) frenano la produzione degli estrogeni, inducendo una pseudomenopausa, altrimenti detta “menopausa farmacologica reversibile”. Ciò vuol dire che durante il periodo di terapia la donna è, dal punto di vista ormonale, in una situazione di tipo menopausale (per effetto della soppressione di produzione di estrogeni), e tale condizione è reversibile in quanto cessa con la sospensione della terapia. Questa situazione fa si che vi sia una netta riduzione della sintomatologia, se non addirittura una sua scomparsa. Dopo la sospensione della terapia è comunque possibile una riattivazione dell’endometriosi.

Gli effetti collaterali possono consistere in sintomi da carenza estrogenica (simili quindi ai sintomi di una situazione di tipo menopausale): secchezza vaginale, vampate di calore, cefalea, insonnia, depressione, irritabilità, riduzione della libido, ecc. La terapia con gli analoghi del GnRH-a può provocare osteoporosi se impiegata per periodi molto prolungati; pertanto se ne raccomanda l’uso per periodi di tempo limitati. Spesso per ridurne gli effetti collaterali si usa associare l’utilizzo di altre terapie ormonali o di farmaci utili a prevenire l’osteoporosi.

  • Terapia chirurgica

Con la chirurgia si cerca di asportare le lesioni tipiche dell’endometriosi (ad esempio cisti ovariche o focolai di endometriosi sul peritoneo). In seguito all’intervento chirurgico si ha una regressione della patologia con sensibile attenuazione dei sintomi. Spesso, per prevenire eventuali possibili recidive dell’endometriosi, in seguito all’intervento chirurgico si propone un periodo di terapia farmacologica.

La terapia chirurgica può essere attuata secondo due modalità di accesso.

La laparoscopia (tecnica chirurgica meno invasiva, con accesso alla cavità addominale mediante strumentazione endoscopica) è un metodo meno invasivo rispetto alla laparotomia e offre molti vantaggi per la paziente: minori cicatrici chirurgiche sull’addome, più breve degenza ospedaliera, migliore decorso postoperatorio e più rapida ripresa delle attività lavorative.

La laparotomia (tecnica chirurgica che prevede l’accesso alla parete addominale con tecnica tradizionale, che comporta quindi l’apertura della cavità addominale) è indicata in particolar modo in caso di endometriosi molto estesa, con importanti situazioni aderenziali che fissano tra di loro i vari organi addominali (utero, tube, ovaie e intestino). In presenza di tali situazioni può risultare molto difficile, se non impossibile, eseguire l’intervento per via laparoscopica.

La chirurgia radicale, ossia l’isterectomia e annessiectomia bilaterale e l’eliminazione delle lesioni endometriosiche, può diventare necessaria in caso di endometriosi severa e di lunga durata. Tuttavia la decisione di ricorrere a questo tipo di intervento deve essere valutata con molta attenzione: vi sono stati casi di persistenza della sintomatologia.

  • Adenomiosi

L’adenomiosi, chiamata anche endometriosi interna, è la localizzazione di endometriosi nello spessore del miometrio (parete muscolare dell’utero).

L’adenomiosi può essere presente pur in assenza di sintomi. Più spesso può causare l’aumento di volume dell’utero, dolore pelvico (in particolar modo in occasione della mestruazione), flussi mestruali abbondante e prolungati.

La diagnosi può essere fatta con l’ecografia transvaginale (che evidenzia un’area di diversa struttura nel contesto dell’utero). Talora possono essere di aiuto la TAC o la RMN (Risonanza magnetica nucleare) nel differenziare l’adenomiosi dai fibromi.

Comunque in molti casi si giunge alla diagnosi di certezza solo con l’esame istologico ottenuto dopo isterectomia (unica terapia realmente risolutiva).

Nell’attesa di giungere all’intervento chirurgico, l’utilizzo di analoghi del GnRH può essere di aiuto a frenare l’abbondanza delle mestruazioni, ma non è in grado di risolvere il problema in maniera definitiva.

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